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S.H.E

Safety, Health, Equality

S.H.E is Alessia Lerza

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Chi sei? Cosa fai?

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Sono Alessia Lerza e mi occupo di sicurezza sul lavoro come RSPP e come formatrice più che altro per quanto riguarda quello che è il punto di vista giuridico della sicurezza, dal momento che il mio percorso di studi è giuridico. Dopo la laurea in giurisprudenza ho fatto il master sulla sicurezza sul lavoro all’Unione Industriale di Torino e ho deciso di specializzarmi, in particolare, sulla parte giuridico-burocratica della sicurezza che è anche quella più attinente al mio settore.

Faccio questo lavoro da dodici anni, sia per quanto riguarda la parte più tecnica di RSPP, sia la parte di formatrice per la regione Piemonte.

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Perché hai deciso di fare questo lavoro?

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Perché ho deciso di non esercitare come avvocato *ride*. Mi sono iscritta a giurisprudenza perché il mio sogno nel cassetto sarebbe stato quello di fare il commissario di polizia poi, strada facendo, ho capito che sarebbe stato un percorso molto impegnativo, soprattutto per una donna, e quando ho fatto pratica forense ho proprio capito che non era il mio settore.

Ho quindi scelto un master che mi aprisse delle porte verso una strada che non avesse a che fare con l’avvocatura e il lavoro è iniziato per un colpo di fortuna, perché ho sostituito in una docenza una collega del master, era la prima volta e io non avevo mai fatto nulla di tutto ciò, e da lì è iniziata la mia carriera lavorativa.

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Sei soddisfatta del tuo lavoro?

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Si, abbastanza. Diciamo però che non escludo cambiamenti lavorativi nel futuro. Come ho detto prima, la mia carriera è iniziata per un colpo di fortuna, non mi sarei mai aspettata di arrivare dove sono ora ma non possiamo mai sapere dove ci porterà la vita, francamente trovo questa cosa stimolante.

Ci sono state delle difficoltà durante la tua carriera lavorativa e, se sì, come le hai affrontate/stai affrontando?

Si, quando sono diventata mamma. In libera professione la maternità non è assolutamente tutelata, quindi, prima di avere mia figlia ho lavorato fino a quindici giorni prima che nascesse. Subito dopo il parto mi sono trovata un po’ fuori dal giro e quindi è stato poi molto difficile rientrare. Ho iniziato a lavorare dopo i primi tre mesi, non avevo altra scelta, ovviamente non lavoravo a tempo pieno. Devo dire che la libera professione aiuta a crearsi i propri spazi, d’altro canto però è molto pericoloso perché non si è tutelati. Io ho dovuto ricominciare piano piano a lavorare a tempo pieno perché sono una mamma single e quindi mi sono dovuta fare in quattro. La maternità è stata il periodo peggiore per la carriera.

Purtroppo non sono l’unica a essersi trovata in questa situazione e lo so bene. È triste pensare che una donna definisca il periodo della maternità “il peggiore” almeno a livello lavorativo. Il fatto è che si pretende che la donna sia lavoratrice e mamma, entrambe le cose allo stesso tempo, e senza dare alcun tipo di aiuto. Questo non è possibile se non si hanno delle tutele che però, in questo caso, sono riservate solo ai dipendenti.

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Il tuo lavoro influisce sulla tua vita privata? Ci sono state difficoltà a gestire sia lavoro che vita privata? Avevi la possibilità di avere la flessibilità sufficiente a gestire la tua vita?

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Il mio lavoro ha influito e influisce tantissimo sulla mia vita privata. Tornando alla questione della maternità, come detto prima, dopo i primi tre mesi sono dovuta tornare al lavoro e non ho potuto farmi i classici sette/otto mesi canonici per potermi riprendere e imparare a gestire mia figlia.

Adesso mia figlia ha otto anni e comincio a poter avere molta più libertà dal punto di vista lavorativo perché lei va a scuola. Però i primi cinque anni sono stati abbastanza pesanti perché comunque sia io ci tengo molto a essere mamma e quindi l’ho voluta seguire io in tutti i suoi passi, probabilmente anche per il fatto che siamo solo io e lei. Ho avuto la grande fortuna di avere mia mamma che mi ha aiutata tanto, però i primi anni sono stati pesantissimi.

Nonostante adesso mia figlia sia un po’ più grande le difficoltà ci sono ancora, dalla donna ci si aspetta che sia allo stesso tempo mamma e lavoratrice ed efficiente in entrambi questi ruoli quando una giornata è fatta solo di 24 ore.

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Hai mai ricevuto un trattamento diverso in quanto donna lavoratrice e se si come hai reagito? Sono mai state messe in dubbio le tue competenze professionali perché sei una donna? Ci sono differenze salariali basate sul genere nel tuo lavoro?

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In linea di massima no, mi è capitato solo una volta di aver avuto più difficoltà a interagire con un’azienda del settore aeronautico di Torino, però poi è stata una grande soddisfazione perché il trattamento che è seguito a conclusione in realtà è stato più “conquistato”. All’inizio c’è stata un po’ di diffidenza perché ero una donna, ho dovuto quindi smarcarmi dalla figura-donna che, per stereotipo, non c’entra niente col settore aeronautico. Ovviamente il periodo di diffidenza di cui parlo è stato ristretto, altrimenti poi la situazione sarebbe diventata pesante.

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Esistono procedure aziendali per affrontare situazioni di emergenza legate a molestie o discriminazioni sul posto di lavoro?

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Occupandomi di sicurezza sul lavoro, spesso si sentono di episodi di mobbing e scatti d’ira nei nostri confronti. Ho avuto modo di conoscere il garante anti-mobbing presso il Ministero delle Pari Opportunità con sede a Torino, quello è stato un bellissimo incontro.

Nella fattispecie, il Ministero delle Pari Opportunità gestisce un coordinamento anti-mobbing per cui, ad oggi, il lavoratore, passando attraverso questo sportello anti-mobbing, non deve più dimostrare di essere vittima di mobbing ma segnala la situazione di presunto mobbing aziendale e si inverte l’onere probatorio, quindi è poi l’azienda a dover dimostrare la mancata avvenuta delle molestie; è la stessa dinamica dei processi per stupro.

Questa cosa non avviene a livello aziendale ma proprio statale e penso sia una svolta positiva per quanto riguarda la tutela dei lavoratori.

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Cosa potrebbe migliorare nel tuo lavoro?

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Per quanto riguarda il mio lavoro nel settore della formazione, probabilmente accorcerei gli orari su alcuni interventi formativi. Questo perché mi rendo conto che sono molto pesanti, non solo per chi li sostiene ma anche per chi li subisce. Secondo me sarebbe utile ridurre gli interventi all’essenziale, sia perché da parte del formatore poi c’è il rischio che si inizia a parlare giusto per riempire lo spazio, sia per lo studente che ha un limite fisiologico per quanto riguarda la soglia dell’attenzione.

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Come descriveresti il rapporto con i colleghi? Noti differenze nelle interazioni tra colleghi di sesso maschile e femminile?

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Devo dire che il rapporto è positivo. Io lavoro principalmente con figure maschili e mi trovo molto bene, sono molto collaborativi e non c’è mai stato nessun tipo di conflitto.

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Che consiglio daresti a una donna che vuole fare il tuo stesso lavoro?

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Partirei subito con il discorso della maternità dicendo di calibrare e pensare molto bene a ogni passo, in sostanza direi di calendarizzare, che è un termine tremendo soprattutto associato a quello che potrebbe essere un desiderio di maternità e di costruzione di una famiglia, però è il consiglio che mi sento di dare. Suggerisco di crearsi prima un indotto tale da poter mettere in stand by per qualche periodo la propria attività. Per me questo non è stato possibile perché sono diventata mamma a 30 anni e ho iniziato a fare questo lavoro a 28.

Bisogna capire che per le donne che sono libere professioniste non c’è nessun tipo di tutela nel momento in cui affrontano una gravidanza. Ovviamente ci sono altri tipi di tutela come gli assegni unici per i figli ma non c’è la tutela della maternità e questo è un problema perché la donna libera professionista esce dal mondo del lavoro e poi rientrare in un mondo di libera professione è molto difficile perché giustamente, quando ci sono delle esigenze lavorative, se non ci sei tu c’è un’altra persona e non avendo un contratto collaborativo, e quindi una collaborazione tutelata, che ha i suoi pro e i suoi contro, se non ci sei tu c’è un altro. Se invece si è dipendente aziendale il posto viene mantenuto anche durante l’assenza della lavoratrice.

Tornando alla questione della programmazione della gravidanza, ammetto che io adesso, a 39 anni, potrei permettermi una gravidanza senza conseguenze particolari sulla mia carriera lavorativa, ma questo perché sono 12 anni che ho creato la mia rete di contatti.

Penso che questo discorso valga per il campo della sicurezza sul lavoro proprio perché è un settore a maggioranza maschile. D’altro canto potrebbe essere così proprio perché la donna è svantaggiata in questo contesto.

È anche vero che la libera professione permette di programmare i propri tempi, ha quindi i suoi pro e i suoi contro.

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